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"Le nuvole vengono e vanno, ma il cielo è quello che è sempre stato, imperturbato, intatto, un semplice spazio interiore, un cielo interiore. Quella è la tua natura. Le società vengono e vanno. Tu nascerai e morirai e molte vite verranno e andranno via, e in te passeranno molte nuvole. Ma il cielo interiore resta intatto.
Le nuvole non aggiungono nulla al cielo, e quando esse non ci saranno più, non si sarà perso nulla, il cielo resta se stesso, totalmente." Osho

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giovedì 17 luglio 2014

C’è una discussione su linkedln, gruppo LEAN Italy, dal titolo “molta gente spende più tempo ed energia per aggirare i problemi piuttosto che per risolverli” Henry Ford

Ecco il mio contributo:

Scusate se vado un po fuori binario, ma leggendo problem solving mi è venuta voglia di condividere uno schemino che ho intitolato “la tecnica dello struzzo”.
Va detto che farina del mio sacco è solo l’aver rielaborato uno schema di problem solving, piuttosto noto almeno su internet : diciamo che nella versione originale si presenta (credo volutamente) più intrecciato.
Messo così raffigura un flow chart assolutamente deterministico su come risolvere velocemente qualunque problema (o quasi) ;-)

Eccolo qui di seguito e il perché “dello struzzo” è presto evidente :




La cosa interessante è che, ogni volta che ho fatto vedere questo schema, immancabilmente mi hanno risposto “Uh ! Succede proprio così!” ed io immancabilmente, e rigorosamente fra me e me, ho pensato “Uh ! ma quante volte ti ho visto fare così !”. 
Posso dire che nessuno è escluso : né le basse leve, né le alte sfere. Né ovviamente la sottoscritta (che non sa affatto dove collocarsi) !
In sintesi : sembriamo tutti pronti ad agire per far andare bene le cose, ma all’atto pratico, per alcune cose siamo degli ottimi manager del cambiamento e per altre, ohimè, un bel sasso quadrato su un piano assolutamente orizzontale ci può fare da maestro sul tema della mobilità.

Perché facciamo così? Perché preferiamo insistere nel fare le cose sempre nello stesso modo anche quando è del tutto evidente che apportando modifiche, tutti, e soprattutto i diretti interessati, starebbero decisamente meglio?
Che tema complesso !
Si può pensare che un cambiamento, per quanto positivo possa essere, è pur sempre un fenomeno di accelerazione / decelerazione che impone di vincere l’attrito e questo richiede energia.
Così il lamento non è altro che il mascheramento della richiesta che sia qualcun altro ad assumersi la responsabilità, ma soprattutto a mettere l’energia per apportare il cambiamento. Insomma una non ammissione di non sentirsi capace.
Il mascheramento è necessario per potersi poi raccontare di aver dato il proprio contributo (che peraltro, per certi versi, sarebbe pure vero) e quindi per non essere tagliati fuori.
In sintesi è una questione di potere e di forza a cui si risponde con un bel allenamento per diventare più forti e acquisire più potere.

Come dicevo, nessuno può ritenersi fuori da questo meccanismo.
Tuttavia se un subalterno può apparentemente continuare a lamentarsi all'infinito per un problema che sarebbe auspicabile venisse risolto per il suo stesso benessere, il grande capo questo lusso non se lo dovrebbe concedere, sempre che il problema abbia un impatto che va oltre il diretto e incapace interessato.

Cosicché non vi pare che dovrebbe essere il capo, prima che il subalterno, ad avere la massima motivazione a fare di tutto per non applicare la tecnica dello struzzo?


1 commento:

drGivan ha detto...

ciao Lucia, l'articolo su Linkedin è il mio, trovi tutti gli altri post anche sul blog del mio sito www.appliedproblemsolving.com. La risposta alla tua domanda io la riconduco a due scenari che, pur essendo differenti tra loro, conducono al medesimo risultato: il capo non si fa carico incondizionato dei problemi di tutti i sottoposti. Mi spiego.
In una organizzazione poco efficiente il capo, come sottolineano altri partecipanti alla discussione, non è un capo che risolve problemi, quindi è chiaro che non lo fa e non lo farà.
In una organizzazione molto efficiente il capo affronta e risolve problemi secondo una lista di priorità che passano attraverso il suo razionale e il razionale che il suo ruolo prevede. E' difficile che il problema del sottoposto, per quanto doloroso per il medesimo, trovi spazio in cima alla lista delle cose che il capo deve fare.
Quello che porto come testimonianza è il fatto che, in entrambi gli scenari e di conseguenza anche nelle sfumature intermedie, se il sottoposto pone il suo il problema in termini proattivi, proponendo soluzioni documentate e non consumandosi in polemiche, le probabilità di riuscire ad ottenere il supporto per risolvere il proprio problema vengono massimizzate. Non sono nemmeno sicuro che ogni problema su cui ci areniamo debba necessariamente essere risolto dal capo, spesso ci poniamo noi i vincoli che ci impediscono di sistemare autonomamente quello che non ci va bene.
Mi hai dato lo spunto per un nuovo post, grazie mille Lucia!